UFFICIO DELLE LETTURE

Mercoledì, 19 marzo 2025

SAN GIUSEPPE
SPOSO DELLA BEATA VERGINE MARIA
Solennità

V   O Dio, vieni a salvarmi.
R   Signore, vieni presto in mio aiuto.

Gloria al Padre e al Figlio *
     e allo Spirito santo.
Come era nel principio e ora e sempre *
     nei secoli dei secoli. Amen.

Lode a te, Signore, re di eterna gloria.

INNO

Quando l’Ufficio delle letture si dice nelle ore del giorno:

Vita dei santi, Cristo, unica via,
o sola speranza del mondo,
o sorgente di pace e di giustizia,
voci e cuori a te inneggiano.

Se qualche luce di virtù tu vedi,
ogni parola vera,
ogni infiammata volontà di bene,
è, Signore, tua grazia.

Dona quiete ai tempi incerti,
salda custodisci la fede,
rinvigorisci i deboli,
perdona i peccatori.

Gloria si canti al Padre
e all’unico suo Figlio,
dolce si levi la lode allo Spirito
negli infiniti secoli.   Amen.


latino

Vita sanctórum, via, spes salúsque,
Christe, largítor probitátis atque
cónditor pacis, tibi voce, sensu
pángimus hymnum:

Cuius est virtus manifésta totum
quod pii possunt, quod habent, quod ore,
corde vel factis cúpiunt, amóris
igne flagrántes.

Témporum pacem, fídei tenórem,
lánguidis curam veniámque lapsis,
ómnibus præsta páriter beátæ
múnera vitæ.

Glória summum résonet Paréntem,
glória Natum, paritérque sanctum
Spíritum dulci modulétur hymno
omne per ævum.   Amen.


in canto

O Cristo, sei vita dei santi,
salvezza e speranza del mondo;
sorgente di pace e giustizia,
ti cantano i cuori e le voci.

Se qualche virtù in noi vedi,
parole sincere di vita,
il nostro cammino nel bene
è frutto, Signore, di grazia.

Da’ quiete ai tempi insicuri,
saldezza a una fragile fede,
ai deboli dona vigore,
a tutti perdona i peccati.

Al Padre si cantino lodi
e all’unico Figlio Signore,
onore allo Spirito santo
per sempre nei secoli eterni. Amen.

INNO

Quando l’Ufficio delle letture si dice nelle ore notturne o nelle prime ore del mattino:

La nostra lode accogli,
o Creatore eterno delle cose,
che, notte e giorno avvicendando,
rendi più vario e grato il tempo.

Alta regna la notte
e già s’ode il canto del gallo,
gioioso presagio di luce
all’ansia del viandante.

Si desta allora e ad oriente appare
la stella palpitante del mattino,
la torma squagliasi dei vagabondi,
abbandonando i vicoli del male.

Il gallo canta. La sua voce placa
il furioso fragore dell’onda;
e Pietro, roccia che fonda la Chiesa,
la colpa asterge con lacrime amare.

Orsù leviamoci animosi e pronti:
tutti risveglia il richiamo del gallo
e gli indolenti accusa che si attardano
sotto le coltri dormigliando ancora.

Il gallo canta. Torna la speranza:
l’infermo sente rifluir la vita,
il sicario nasconde il suo pugnale,
negli smarriti la fede rivive.

Gesù Signore, guardaci pietoso,
quando, tentati, incerti vacilliamo:
se tu ci guardi, le macchie dileguano
e il peccato si stempera nel pianto.

Tu, vera luce, nei cuori risplendi,
disperdi il torpore dell’anima:
a te sciolga il labbro devoto
la santa primizia dei canti.

Gloria a Dio Padre
e all’unico suo Figlio
con lo Spirito santo
nella distesa dei secoli.   Amen.


latino

Ætérne rerum Cónditor,
noctem diémque qui regis,
et témporum das témpora,
ut álleves fastídium;

Præco diéi iam sonat,
noctis profúndæ pérvigil,
noctúrna lux viantibus
a nocte noctem ségregans.

Hoc excitátus lúcifer
solvit polum calígine,
hoc omnis errónum chorus
vias nocéndi déserit.

Hoc nauta vires cólligit
pontíque mitescunt freta,
hoc ipse Petra Ecclésiæ
canénte culpam diluit.

Surgámus ergo strénue!
gallus iacentes excitat,
et somnoléntos íncrepat,
Gallus negantes arguit.

Gallo canénte spes redit,
ægris salus refúnditur,
mucro latrónis cónditur,
lapsis fides revértitur.

Iesu, labántes respice,
et nos vidéndo córrige,
si réspicis, lapsus cadunt,
fletúque culpa sólvitur.

Tu lux refúlge sensibus,
mentísque somnum díscute,
te nostra vox primum sonet
et ore solvámus tibi.

Deo Patri sit glória
eiúsque soli Fílio,
cum Spíritu Paráclito
in sempíterna sǽcula.   Amen.


in canto

Accogli nel canto la lode,
eterno Creatore del mondo,
che notte e giorno avvicendi
rendendo più vario il tempo.

Ancora la notte è oscura
e già si ode il canto del gallo,
gioioso presagio di luce
all’ansia dell’uomo in cammino.

Si desta e appare ad oriente
la stella del primo mattino;
la torma di uomini infidi
rifugge da vie tortuose.

Il canto del gallo è una voce
sul cupo fragore dell’onda;
e Pietro, la roccia di Cristo,
con lacrime asperge la colpa.

Leviamoci pronti e animosi:
il canto del gallo risveglia
e accusa i pigri indolenti,
che ancora nel sonno si attardano.

Così la speranza ritorna:
il male abbandona il violento,
fluisce la vita all’infermo,
la fede rivive nei cuori.

Clemente Signore, difendici:
incerti e tentati noi siamo!
Se guardi, le macchie dileguano:
nel pianto il peccato laviamo.

Tu, luce, risplendi nell’uomo,
disperdi il torpore dell’anima:
a te sciolga il labbro devoto
la santa primizia dei canti.

La gloria innalziamo al Padre
e all’unico Figlio risorto,
insieme allo Spirito santo,
per sempre nei secoli eterni. Amen.

RESPONSORIO

Cfr. Sal 91, 13. 2

R   Il giusto fiorirà come palma.
           Crescerà come cedro del Libano.

V   È bello dar lode al Signore
      e cantare al tuo nome, o Altissimo.
           Crescerà come cedro del Libano.

SALMODIA

Cantico - 1Sam 2, 1-10

La gioia e la speranza degli umili è in Dio

Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati (Lc 2, 1-10).

Ant. 1   Il mio cuore esulta nel Signore; *
             chi si vanta, si vanti nel Signore.

Il mio cuore esulta nel Signore, *
     la mia fronte s’innalza, grazie al mio Dio.
Si apre la mia bocca contro i miei nemici, *
     perché io godo del beneficio che mi hai concesso.

Non c’è santo come il Signore, *
     non c’è rocca come il nostro Dio.

Non moltiplicate i discorsi superbi, †
     dalla vostra bocca non esca arroganza; *
     perché il Signore è il Dio che sa tutto le sue opere sono rette.

L’arco dei forti si è spezzato, *
     ma i deboli sono rivestiti di vigore.

I sazi sono andati a giornata per un pane, *
     mentre gli affamati han cessato di faticare.
La sterile ha partorito sette volte *
     e la ricca di figli è sfiorita.

Il Signore fa morire e fa vivere, *
     scendere agli inferi e risalire.
Il Signore rende povero e arricchisce, *
     abbassa ed esalta.

Solleva dalla polvere il misero, *
     innalza il povero dalle immondizie,
per farli sedere con i capi del popolo, *
     e assegnare loro un seggio di gloria.

Perché al Signore appartengono i cardini della terra *
     e su di essi fa poggiare il mondo.

Sui passi dei giusti egli veglia, †
     ma gli empi svaniscono nelle tenebre. *
     Certo non prevarrà l’uomo malgrado la sua forza.

Dal Signore saranno abbattuti i suoi avversari! *
     L’Altissimo tuonerà dal cielo.

Il Signore giudicherà gli estremi confini della terra; †
     al suo re darà la forza *
     ed eleverà la potenza del suo Messia.

Gloria al Padre e al Figlio *
     e allo Spirito santo.
Come era nel principio e ora e sempre *
     nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. 1   Il mio cuore esulta nel Signore; *
             chi si vanta, si vanti nel Signore.

Cantico - Sir 39, 13-16a

Invito a lodare Dio

O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! (Rm 11, 33).

Ant. 2   La Sapienza si è costruita una casa *
             in Maria vergine, sposa di Giuseppe.

Ascoltatemi, figli santi, *
     e crescete come una pianta di rose su un torrente.

Come incenso spandete un buon profumo, *
     fate fiorire fiori come il giglio,
spandete profumo e intonate un canto di lode; *
     benedite il Signore per tutte le opere sue.

Magnificate il suo nome; †
     proclamate le sue lodi *
     con i vostri canti e le vostre cetre;

così direte nella vostra lode: *
     «Quanto sono magnifiche tutte le opere del Signore!».

Gloria al Padre e al Figlio *
     e allo Spirito santo.
Come era nel principio e ora e sempre *
     nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. 2   La Sapienza si è costruita una casa *
             in Maria vergine, sposa di Giuseppe.

Cantico - Ger 17, 7-8

Beato chi confida nel Signore

Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano (Lc 11, 28).

Ant. 3   Fu amato da Dio e dagli uomini, *
             e il suo ricordo è una benedizione.

Benedetto l’uomo che confida nel Signore *
     e il Signore è sua fiducia.

Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, †
     verso la corrente stende le radici; *
     non teme quando viene il caldo.

Le sue foglie rimarranno verdi; †
     nell’anno della siccità non intristisce, *
     non smette di produrre i suoi frutti.

Gloria al Padre e al Figlio *
     e allo Spirito santo.
Come era nel principio e ora e sempre *
     nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. 3   Fu amato da Dio e dagli uomini, *
             e il suo ricordo è una benedizione.

Kyrie eleison, Kyrie eleison, Kyrie eleison.

V   Tu sei benedetto, Signore.
R   Amen.

L    Benedicimi, Padre.
V   San Giuseppe, che ha paternamente custodito
      e allevato il Signore,
      interceda per noi presso Dio.
R   Amen.

PRIMA LETTURA

Eb 11, 1-16

Dalla Lettera agli Ebrei

La fede esemplare degli antenati

La visita del Diletto

Fratelli, la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza.
Per fede noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine quello che si vede. Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, attestando Dio stesso di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora.
Per fede Enoch fu trasportato via, in modo da non vedere la morte; e «non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via». Infatti prima che fosse portato via, ricevette testimonianza di «essere gradito a Dio» (Gn 5, 24; Sir 44, 16). Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti s’accosta a Dio deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano.
Per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con pio timore un’arca a salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne erede della giustizia secondo la fede.
Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Per fede anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa «come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare» (Gn 15, 5; 22, 17; 32, 12. 13).
Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città.

RESPONSORIO

Cfr. Mt 2, 16. 13. 15

R   Il re Erode mandò ad uccidere il bambino,
      ma non lo trovarono.
           L’angelo del Signore
           era apparso a Giuseppe dicendo:
           «Àlzati e fuggi in Egitto».

V   «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio:
      è morto chi insidiava la sua vita».
           L’angelo del Signore
           era apparso a Giuseppe dicendo:
           «Àlzati e fuggi in Egitto».

L    Benedicimi, Padre.
V   Per l'intercessione di san Giuseppe,
      il Signore ci conceda pace e salvezza.
R   Amen.

SECONDA LETTURA

Dai «Sermoni» di san Bernardo, abate

(S. Bernardi opera, In Laudibus virginis Matris, II, 13-14. 16: IV, Ed. Cistercienses, 31-32. 33)
Servo fedele e saggio

Sta scritto: «Giuseppe, il suo sposo, che era Giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto» (Mt 1, 19). Opportunamente, essendo giusto, non volle ripudiarla, perché, come non sarebbe stato affatto giusto se, riconoscendola colpevole, fosse stato d’accordo, così nondimeno non sarebbe stato giusto se l’avesse condannata una volta riconosciuta innocente. Essendo dunque giusto e non volendo ripudiarla, decise di licenziarla.
Perché volle licenziarla? Ascolta anche su questo argomento non la mia opinione, ma quella dei Padri. Giuseppe volle licenziarla per la ragione per cui anche Pietro allontanava da sé il Signore dicendo: «Allontanati da me, Signore, perché sono un uomo peccatore» (Lc 5, 8), ed anche il centurione voleva impedirgli di entrare nella sua casa, dicendo: «Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto» (Mt 8, 8). Così dunque anche Giuseppe, ritenendosi indegno e peccatore, diceva tra sé che da una tale e così privilegiata creatura non doveva più oltre essergli concessa la convivenza familiare, perché aveva timore della dignità di lei, tanto superiore alla sua. La vedeva, con sacro terrore, portare il segno certissimo della presenza divina e, siccome non poteva penetrare il mistero, voleva licenziarla.
Pietro ebbe paura della grandezza della potenza, ebbe paura il centurione della maestà della presenza del Signore. Certamente anche Giuseppe, uomo qual era, provò un sacro terrore di fronte alla novità di questo così straordinario prodigio, alla profondità del mistero; e perciò volle rimandarla segretamente.
Ti meravigli che Giuseppe si considerasse indegno di convivere con la Vergine che attendeva un figlio, quando senti che anche santa Elisabetta non può sopportare la presenza, se non con un terrore pieno di venerazione? Dice infatti: «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?» (Lc 1, 43). Per questo motivo, dunque, Giuseppe volle licenziarla.
Anche dal suo proprio nome, che senza dubbio si deve intendere «accrescimento», argomenta chi e quale uomo fosse questo Giuseppe. Nello stesso tempo ricordati di quel grande patriarca, venduto in Egitto, e sappi che Giuseppe non ebbe in sorte soltanto il suo nome, ma anche conseguì la castità ed ottenne l’innocenza e la grazia. Tant’è vero che quel Giuseppe, venduto per l’invidia fraterna e condotto in Egitto, fu prefigurazione della vendita di Cristo; questo Giuseppe, fuggendo da Erode, portò in Egitto Cristo. Quello, mantenendo la fedeltà al suo padrone, non volle unirsi alla padrona; questo, riconoscendone la verginità, custodì anch’egli fedelmente, mantenendosi casto, la sua padrona, madre del suo Dio. A quello fu concessa la capacità di comprendere i misteri dei sogni; a questo fu concesso d’essere consapevole e partecipe dei sacramenti celesti. Quello conservò le granaglie non per sé, ma per il popolo; questo ricevette il pane vivo disceso dal cielo, da custodire sia per sé sia per tutto il mondo.

SECONDA LETTURA

Dall'omelia del 19 marzo 1960 nella parrocchia di S. Giusep­pe a Taccona di Muggiò di san Paolo VI, papa, allora arcivescovo di Milano

(linee 6-16.176-227 passim in G.B. Montini - Discorsi e scritti milanesi III, pp. 4976-4982 passim)
Il silenzio eloquente di san Giuseppe, lavoratore

È vero che san Giuseppe non ha mai parlato. Se voi osservate nel vangelo, ci sono narrati parecchi fatti della sua vita, importantissimi, ma neanche una parola. È il santo del silenzio... Ha parlato con l'esempio, coi fatti, coi gesti, con gli avvenimenti e le vicende della sua vita, non con le sue labbra, perché il Signore ha voluto quasi coprire di umiltà, di soggezione, di silenzio, di sobrietà, la figura di questo grande Santo che ha protetto la vita infantile di Cristo, che è stato lo sposo della Madonna, che ha introdotto Gesù nella società e gli ha dato uno stato civile e gli ha dato una professione, è stato il cultore della verginità, la propria, in onore di quella della Madonna ... Che mestiere faceva san Giuseppe? Faceva il fabbro, ma dire fabbro in latino e in greco, è dire un nome generico... Non sappiamo bene quale fosse precisamente il mestiere di san Giuseppe. Si suole fermarsi con i Padri, che hanno dato già questa interpretazione, che faceva il falegname, e fu quindi un artigiano. Fu un lavoratore, si guadagnò il pane con il lavoro manuale, con i suoi muscoli, con le sue mani, e cioè colui che doveva apparire nella storia come il padre putativo di Gesù, appartenne alla categoria dei lavoratori, il che vuol dire che Gesù fu iscritto in questo livello sociale, del lavoratore manuale, dell'artigiano. E che cosa deriva da questo? Deriva che il lavoro manuale, il lavoro dell'uomo, è stato praticato da Dio, venuto in terra: [...] ha voluto essere anche lui, come voi, come noi, un umile operaio. Ha voluto santificare la fatica umana, cioè non solo praticarla, ma santificarla...
Cosa vediamo noi, adesso, oggi, nella nostra società sul fenomeno lavoro? Vediamo concentrata l'attenzione, la cura, l'esaltazione se volete: «La Repubblica italiana è uno stato fondato sul lavoro» dice il primo articolo della Costituzione italiana. Il che vuol dire che il lavoro è la legge principale del popolo italiano. Ed ecco il lavoro quindi esaltato... ma siamo proprio tranquilli? Ci sono cose che ci fanno trepidare. La prima, che questo lavoro, cioè la ricerca della ricchezza del suolo e delle cose materiali, sembra essere l'ideale supremo, e non è. Noi siamo fatti non soltanto per le cose di questo mondo: «Non di solo pane vive l 'uomo» ha detto Gesù... Quindi prima cosa che dobbiamo temere: che il lavoro sia il programma materiale, economico ed esclusivo della nostra vita.
Secondo, voi lo sapete: è sul lavoro che invece di imperniarsi la concordia, il benessere, la pace sociale, s'impernia ancora la lotta sociale... È vero, è vero che il lavoro ha bisogno di essere rialzato, rimunerato, difeso, nobilitato, santificato [. ..]. Ma dobbiamo concepire il lavoro come una confluenza sociale, non come un contrasto sociale... Cioè per la pace sociale, per il benessere comune, dobbiamo concepire il lavoro. È così che ce lo insegna san Giuseppe, che è là che lavora nella sua piccola bottega di Nàzaret, col suo garzone che era nientemeno che Gesù, il figlio di Dio fatto uomo.

Se all’Ufficio delle Letture seguono immediatamente le Lodi si omettono l’orazione seguente e l’introduzione di Lodi e si recita immediatamente il Cantico di Zaccaria.

ORAZIONE

Dio di eterna bontà,
che hai scelto san Giuseppe
come sposo della vergine Maria
perché obbedisse con prontezza e rettitudine
al disegno mirabile che ci ha salvato,
donaci di accogliere le tue parole
con intima fede
e di adempiere i tuoi voleri
con animo docile e attento.
Per Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore e nostro Dio,
che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito santo,
per tutti i secoli dei secoli.


Quando l'Ufficio delle letture si recita nelle ore notturne o nelle prime del mattino, invece dell'orazione riportata si può sempre dire l'orazione seguente:

Allontana, o Dio, ogni tenebra
dal cuore dei tuoi servi
e dona alle nostre menti la tua luce.
Per Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore e nostro Dio,
che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito santo,
per tutti i secoli dei secoli.

CONCLUSIONE

V   Benediciamo il Signore.
R   Rendiamo grazie a Dio.