LA GRAZIA DELLE LACRIME E IL CORAGGIO DELL'AUTOCRITICA
Pubblicato il 03/07/2025
Un altro femminicidio interroga gli adulti su quale mondo stiamo costruendo per i nostri ragazzi.
Martina, Sara, Ilaria, Aurora, Eleonora… È ormai una dolorosa processione di nomi e di volti, giovani vite che sono state spezzate troppo presto. Quella dei femminicidi sta diventando una tragedia a cui, poco a poco, ci stiamo abituando, che non ci tocca più di tanto, che non produce più sussulti e indignazione. Eppure, non possiamo rassegnarci. Non possiamo gettare la spugna e rifugiarci semplicemente nel solito “che ci possiamo fare?”. Non è giusto, non è umano, non è atteggiamento di speranza arrendersi così di fronte al male.
Forse, come primo passo, abbiamo bisogno di chiedere la grazia delle lacrime. Ne ha parlato tante volte papa Francesco, evocando la nostra capacità di vedere le tragedie del mondo e non rimanere indifferenti. «La compunzione è l’antidoto alla durezza del cuore tanto denunciata da Gesù», affermava nella Messa crismale del 28 marzo 2024. «Il cuore, infatti, senza pentimento e pianto, si irrigidisce: dapprima diventa abitudinario, poi insofferente per i problemi e indifferente alle persone, quindi freddo e quasi impassibile». Invece, «le lacrime lentamente scavano i cuori induriti».
Sentimenti del genere deve aver provato l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Domenico Battaglia, quando, celebrando il funerale di Martina Carbonaro, la 14enne uccisa ad Afragola dall’ex fidanzato, ha fatto fatica in alcuni momenti a contenere l’emozione. Credo che proprio questa commozione, questa connessione con il cuore oltre che con la mente, gli ha ispirato parole profonde, sentite, vere.
Vale la pena – e vi invito a farlo – leggere la sua omelia durante la celebrazione funebre. Il porporato ha saputo sussurrare parole di speranza – non quella facile e consolatoria, ma quella che «cammina dentro la nostra notte, dentro questo silenzio fatto di domande senza risposta», che «non cancella il dolore» ma sa «custodirlo dentro una speranza più grande», che «non nega la croce ma la trasfigura» a partire dallo sguardo nuovo che «nasce dal Cristo risorto».
Il cardinale ha poi riflettuto a lungo anche sulla violenza, che è frutto di «un’idea malata dell’amore, ancora troppo diffusa, troppo tollerata, troppo silenziosa». Un’idea che «confonde il controllo con l’affetto, l’amore con il possesso». Si tratta – ha detto Battaglia – del «frutto amaro di un’educazione che ha fallito».
E su questo, cari amici, dobbiamo interrogarci seriamente. Anche noi adulti dobbiamo avere il coraggio delle lacrime e, insieme, dell’autocritica: non per “piangerci addosso”, ma per cambiare rotta e provare a costruire nuovi orizzonti. Per noi e per i nostri giovani. Ai giovani, il cardinale Battaglia ha lanciato un invito: «Non restate soli! Affidatevi a quegli adulti che ci sono… chiedete aiuto». Perché bisogna poter esprimere le proprie emozioni ed elaborarle con l’aiuto di persone solide di riferimento. Gli adulti, dal canto loro, devono accettare la sfida di assumersi una responsabilità collettiva, che trasformi «la memoria di Martina in impegno». Perché, alla fine, conta l’interrogativo che l’arcivescovo ha rivolto ai presenti: «Che mondo stiamo costruendo per questi ragazzi?». Per ciascuno di noi, è inevitabile allora un onesto esame di coscienza, se non vogliamo essere complici del male.
di: don Vincenzo Vitale
da: Credere 24/2025
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